venerdì 18 aprile 2025

Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo?

Un saggio sulla tragedia Shakespeariana più riadattata di sempre? No.

Ho dato l'esame di Storia del Teatro Elisabettiano quando ancora Twilight era solo un libro e comunque ci eravamo soffermati solo su Much Ado About Nothing (che ho visto a Marzo, se a qualcuno possa fregare qualcosa) e comunque chi avrebbe mai chiesto una roba del genere?
Non che qualcuno abbia chiesto nemmeno questo post (anzi, sì, una persona. Ciao, Cele), but still, nel titolo vi trovate "Diario di...", quindi mi tocca raccontare questo delirio, un po' come ai vecchi tempi.

Post che ha un po' di déjà-vu perché ho combinato qualcosa di simile niente meno che nel 2018.
Stessa città, stesso obiettivo. solo la persona cambia.
Vi lascio immaginare chi fosse quasi sette anni fa e non ci vuole la palla di vetro neanche per questo qui.


Naturalmente, per non smentirmi mai, questo post esce con abnorme ritardo, giusto per non perdere le cattive abitudini, la play è anche finita da un pezzo.
Abbiamo anche dedicato un momento all’autocommiserazione come d’obbligo, dunque possiamo procedere. 

Apprendo la notizia dell play a broadway Romeo + Juliet mentre ero all’Apple Store di Bologna, qualche ora prima di prendere un volo per Londra e ancora mi domando come:
a. Sia riuscita a non farmi ricoverare d’urgenza al Maggiore
b. Sia riuscita a non farmi arrestare
c. Sia riuscita a non perdere l’aereo.
È bello sfiorare l’ebbrezza di un quasi attacco di panico in luogo pubblico, sono emozioni che difficilmente si dimenticano. 

Quando finalmente inizio a razionalizzare, subentra un altro tipo di panico: “E ora con quali soldi ci vado?”,  perché, ovviamente, prendere in considerazione l’opzione ‘non andarci’ non era neanche lontanamente contemplato.
E io che ad inizio anno mi ero pure detta, ‘Vabbè, per quest’anno New York la saltiamo.’
Ma.
C’è sempre un ma.
Qualche settimana prima erano saltati i piani di passare il compleanno a Stoccolma, quindi già una bella cifra risparmiata.
Poi un paio di settimane dopo l’annuncio, vinco uno staff award a lavoro.
Tutto ciò l’ho preso come un segno del destino che io dovevo andare a New York in autunno.

E poi parte il conseguente panico: quando escono i biglietti?, come faccio con le ferie?, i voli? e compagnia bella.
I biglietti escono a fine Maggio, ho letteralmente consumato il tasto refresh su Gmail perché l’email con il link ha ritardato di ben sette minuti ad arrivare e io come d’obbligo ho iniziato a dare i numeri, ma tutto è andato come doveva andare, trovati dei posti decenti senza dover vendere un organo vitale (sempre tenendo conto degli standard di Broadway).
Insomma, a Novembre si va a New York.
Ora bisogna aspettare, che è già un problema di suo, perché ti sembra sempre che il tempo non passi mai, specialmente quando la “vita vera” ti succhia via tutte le energie possibili ed immaginabili.
In più, a differenza dal 2018, si aggiunge l’ansia social media.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che quando andai a vedere Chris Evans in Lobby Hero, nei due mesi che precedettero il mio viaggio, c’erano giusto qualche foto e video della stage door su Tumblr e basta. E giusto un paio di still ufficiali rilasciate dalla compagnia teatrale.
Per R+J non è stato affatto così. Da fine settembre, quando sono iniziate le preview, è stato un costante bombardamento su TikTok e Instagram non solo dalla stage door (che era follia pura dalla gente sempre ammassata) ma anche di materiale della play stessa, che definirlo infuriante è un eufemismo.
Innanzitutto è una mancanza di rispetto nei confronti del cast, vai a vedere uno spettacolo teatrale e invece di prestare attenzione, passi il tempo a filmare.
In secondo luogo è una mancanza di rispetto per chi ha pagato il biglietto per vedere uno show, che, puntualizziamo, per nulla economico e si ritrova a vedere intere scene settimane prima.
Per quale ragione poi? Per essere virale.
Mi sta per partire una tangente anche sul discorso di chi si vanta di essere andato a vederlo più di una volta. Bravə, cosa vuoi, la medaglia o ti basta un applauso?
Per carità, probabilmente se avessi avuto l’opportunità, sarei andata anche io più di una volta, ma non per questo me ne sarei continuata a vantare sui social.



Comunque, torniamo all storia principale.
Dicevamo, parola chiave: ansia.
Tutto è pronto: voli, hotel, eccetera.
Ma come accennavo prima, la vita vera si è messa un po’ di traverso per svariati motivi che non sto qui a spiegare e purtroppo, tutto ciò ha inciso sul mio entusiasmo per questo viaggio.
Dopo tutto il tribolare per i biglietti e organizzare il viaggio, ad un certo punto mi sono trovata in una situazione di totale annichilamento. Zero euforia. Che per una cosa del genere, per me, è assolutamente out of character. In circostanze normali avrei parlato di questo viaggio non stop per mesi. Zero. Completamente annientata. Ogni tanto uno spray di paranoia: “E se Kit non recita quella sera?”, “E se Kit saltasse la stage door?”. E se.
E basta.
Se ci ripenso mi viene una tristezza infinita.
Vorrei raccontarvi un’altra versione dei mesi di attesa, davvero. Ma purtroppo è andata così.

***

Insomma, arriva il giorno della partenza e anche grazie alla compagnia di A. e M. quella fiammella di entusiasmo piano piano si riaccende. 
Atterrati sul suolo statunitense, sono una palla di energia nonostante la stanchezza. 

Nota a margine: c’è stato del panico prima del volo perché io e i miei amici non avevamo posti vicini sull’aereo, quindi abbiamo usato la strategia “io soffro d’ansia” ma non ha funzionato. Almeno sono riuscita a non avere attacchi di panico, ci ho messo sette ore a guardare Il Gladiatore e ho stravinto ad Uno virtuale contro M. e due bot. 


Torniamo a noi: per fortuna all’arrivo va tutto liscio, addirittura ci abbiamo messo solo mezz’ora al controllo passaporti e tra una cosa e l’altra arriviamo con un’ora di anticipo rispetto al nostro check-in in hotel. Sbrigate le cose pratiche e mollate le valigie in stanza, trascino i ragazzi (letteralmente, non riuscivano a star dietro al mio passo, nonostante le mie gambe decisamente corte) al Circle in the Square, perché io, da buona malata mentale quale sono,  mi ero fatta tutti i calcoli di quando sarebbe finito il matinée del sabato, quindi di conseguenza di quando ci sarebbe stata la potenziale stage door.



Infatti, proiezioni e calcoli matematici che se avessi fatto così a scuola avrei preso sempre tutti 10, dopo una mezz’oretta ecco che il nostro si palesa, bello come il sole e stanco come il lupo de La Spada nella Roccia dopo aver scalato la collina per inseguire Semola; si immerge nell’isterismo a firmare ogni cosa che gli viene messa sotto il naso, mentre io e i ragazzi ci limitiamo ad osservare (e filmare) da dietro.
Dopo tre ore di sonno e sette di volo e dopo una veloce visita ad una coppia di amici e una passeggiata nel delirio del sabato sera di Midtown, ci meritiamo una mega pizza da Joe’s Pizza.




Giornata successiva, domenica, altro giro, altro delirio.
Quel giorno lo spettacolo è alle 15, quindi il mio disagio mi ha obbligata ad aspettarlo prima della play, nella speranza che non ci fosse nessuno e io avessi una minima chance di fermarlo e poterci scambiare due parole, inoltre è anche il compleanno della mia amica G. e avrei voluto farle una sorpresa con un mini video di auguri da parte di Kit.
Tralascio il dettaglio di quanto tempo sia stata là fuori ad aspettare, cercando anche di non dare troppo nell’occhio, ma quando arrivo c’è la coda per i rush ticket del giorno, quindi mi impanico che ci possa essere troppo caos al momento del suo arrivo, ma per fortuna la gente “sgombera” abbastanza velocemente.
Ad un certo punto noto del “movimento” e sono pronta all’azione. Se non che, arriva un gruppetto di squinziette pre-adolescenti tutte agitate a fare foto davanti al teatro.
Al che vedo Dina, una delle manager del teatro che è stata praticamente l’angelo custode di Kit in questi mesi, allontanarsi verso la Broadway e ho capito immediatamente che stava andando a “prendere” il nostro.
Infatti, non passano due minuti che arrivano, lui in tutto il suo splendore.
Io mi avvicino e cerco di salutarlo ma Dina mi dice di tornare dopo lo show. Le squinzie che stavano lì neanche lo riconoscono. Quando se ne rendono conto qualche istante dopo, OVVIAMENTE, iniziano ad urlare. Io rimango lì, giusto per.
Riesco quindi a fare due chiacchiere con Dina (e nel frattempo arriva anche Rachel e le faccio ciao con la manina) e mi rassicura che il regalino che avevo per lui (della cioccolata Cadbury, due friendship bracelets e un biglietto) sarei riuscito a darglielo e di chiamare lei nel peggiore dei casi e che avrebbe fatto in modo di farglielo avere; mi ha spiegato un paio di cose, mi ha dato qualche dritta (prendi le scale normali, non le scale mobili, così fai prima!) e tutto sommato è stata molto carina. Mi ha anche detto che sono stata molto civile ed educata quando è arrivato Kit.
Insomma, prima missione: fallita. Voglio solo pensare che se non ci fossero state le altre ragazzine, forse avrei avuto la possibilità di fermarlo. Ma vabbè, con i se e con i ma non si fa la storia, volevo solo parlarci, ma alla fine lo scopo principale del viaggio è vederlo recitare nella play.



Lunedì è il giorno di pausa dello show, quindi mi sono presa pure io un momento di pace e godermi la mia città preferita al mondo con i miei amici.
È stata una giornata bellissima: sole, temperatura mite nonostante fosse Novembre inoltrato e paninazzo col pastrami da Katz Deli (quello di Harry Ti Presento Sally),
Ci voleva assolutamente una giornata tranquilla prima dell’ansia paralizzante che mi divora al martedì.


La mattina di martedì abbiamo tatticamente prenotato la visita al MoMA, cosa che avevo fatto anche nel 2018, quando andai a vedere Chris: la mattina dello spettacolo si va al museo di arte contemporanea.
Dopo la visita, io e i ragazzi ci separiamo: loro vanno a fare altri giri turistici mentre io faccio prima tappa da Barnes & Noble perché ovviamente abbiamo trovato un’edizione limitata di Heartstopper e mica lo potevamo lasciare lì. E poi sono scappata a farmi un giro nel posto preferito nella mia città preferita: Strand Bookstore.
Ma continuo a guardare l’orologio: perché naturalmente mi ero fatta un piano d’azione cronometrato: di nuovo, grazie ai social ho aggiunto un altro elemento di panico: coda troppo lunga per entrare e rischio di non fare in tempo per comprare il merch e addirittura sedermi al mio posto.
Insomma, dopo aver provato, quasi inutilmente, a spegnere il cervello in hotel con Mac and Cheese di Whole Foods e Real Housewives of Qualcosa inizio a prepararmi.

Inutile dire che sono arrivata a teatro troppo presto e ho aspettato quasi un’ora prima di poter entrare. Però ho fatto in tempo a prendere il regalo per G., la tote bag per me e i drink con il bicchiere customizzato della play. I ragazzi sono arrivati giusto in tempo a salvarmi dall’equilibrismo di mantenere tre bicchieri e la mia labile salute mentale, che aveva già, comunque bellamente lasciato questi porti.
Dopo circa 10/15 minuti seduta al mio posto, Kit Connor esce dal backstage e sta a tre metri da me. Da quel momento, cervello e polmoni hanno smesso di funzionare; posso tranquillamente andare a fare immersioni subacquee, visto che ormai sono attrezzata per l’apnea.



Cosa dire sullo spettacolo: UNICO.
Ormai ho perso il conto di quante versioni di R+J abbia visto, ma direi che questa va dritta in cima tra le mie preferite insieme a quella di Baz Luhrman con Leo DiCaprio e Claire Danes.
Vorrei andare più nel dettaglio con i commenti sullo spettacolo, ma forse non è il caso, per svariate ragioni:
- Potrebbe andare per le lunghe e già questo post fa a gara con la Divina Commedia.
- Potrebbe seriamente annoiarvi (come se non lo siate già, ammesso che siate arrivati così in fondo)§.
- Non voglio andare in galera.



Abbiamo anche segnato “Figura di merda” sulla tabella bingo, visto che io ed A. volevamo uscire abbastanza velocemente, ma allo stesso tempo non volevamo perderci la curtain call, quindi stavamo in mezzo al corridoio, in piedi e Rachel se n’è accorta e ci ha lanciato un’occhiataccia. Missione ninja miseramente fallita.
Finito il mini discorso, io mi sono letteralmente lanciata fuori, ma ovviamente i posti migliori erano già belli che andati MA con la coda dell’occhio mi sono accorta che c’era ancora un angolino libero, posto che mi era stato suggerito da unə amicə che era statə alla play una settimana prima. Sì, avete capito bene, c’è stato un piano strategico studiato da almeno due settimane, i livelli di ansia erano tali. E questo va ad aggiungersi a tutti i pensieri intrusivi pre-partenza.



Ho quasi sfiorato la rissa con delle ragazzine che si sono messe dietro di noi, ma per fortuna siamo riuscite a raggiungere un accordo in maniera civile.
Il cast inizia ad uscire e il panico va a mille. Neanche a dirlo, il nostro settore è stato l’ultimo per tutti quanti.
Io mi ero preparata una battuta da fargli ma indovinate un po’? Esatto, mi sono rincitrullita quando me lo sono trovata davanti e mi sono completamente dimenticata.
Però sono riuscita a dargli i suoi regalino, farmi autografare due playbill e dirgli cose a random tipo: “Ti ho portato del (cioccolato) Cadbury”, “Ho amato The Wild Robot” e “Ti aspettiamo nel West End” (il corrispettivo di Broadway a Londra). Se esistessero dei premi per mettersi in imbarazzo da soli, io li avrei vinti tutti a mani basse.



Ma c’è una cosa, anzi due, che mi tormenteranno a vita:
Il mio “Kit, Kit please” mentre cerco di chiamarlo per venire da noi, che però, purtroppo è stato registrato quindi rimasto nei annali per prendermi in giro ad ogni piè sospinto e il mio tentativo di video quando si è avvicinato; essendo munita di sole due mani, ma avevo una busta, due playbill e un telefono da reggere (non contando il cervello in totale corto circuito), l’inquadratura anziché puntare sulla sua faccia è finita sulle sue tette e pacco.
I will never see the end of it.

E niente, non ho capito se la tavoletta di cioccolata è finita in macchina con lui o nel suo dressing room, ma va bene così, sono riuscita a dargli i suoi regalini, a parlarci anche se non era un discorso di senso compiuto e mi sono portata a casa il playbill autografato. Mesi di ansia andati.
Lo vedo sparire sul SUV che lo porterà a casa (?) E io non mi capacito della meravigliosa occasione che ho avuto di vederlo recitare dal vivo. E a Broadway per di più. Ora spero vivamente che ci sarà modo per lui di lavorare a teatro anche qui a Londra.



Smantellate le transenne, ci facciamo qualche foto coi poster e la facciata del teatro e poi si va a mangiare in uno dei miei posti preferiti di New York, Junior’s. Non senza prima aver avuto una mini crisi di pianto, ché quelle non ce le facciamo mai mancare. Esattamente com’è successo il giorno seguente, perché non volevo partire per tornare indietro a Londra.

Una nota a margine a proposito di Rachel Zegler, che si è ufficialmente guadagnata un posto tra i miei preferiti. Ho fatto un friendship bracelet anche per lei, avevo visto una sua storia su Instagram dove aveva fotografato tutti quelli che le erano stati regalati, quindi mi sono detta, perché no?
Insomma, ho notato che lo ha guardato quando lo ha preso e quando ho rivisto il video che le ho fatto, mi sono resa conto che addirittura lo ha indossato; inutile dire che sono scoppiata a piangere (sul treno). 


***
Ho scritto l’equivalente dell’Odissea, eppure mi sembra di non essere riuscita a mettere nero su bianco le mie emozioni adeguatamente. È sempre difficile per me riuscire a catalogare quello che provo e metterlo in frasi di senso compiuto, è un’impresa.

Sono momenti in cui mi sembra di vivere in universo parallelo, dove tutto si ferma ed esiste solo la gioia e l’ansia, ma l’ansia quella bella. Quando, per qualche ora, puoi essere te stessa ed essere felice, senza pensare a nient’altro.

Non so se ci sia qualcuno che abbia avuto la forza e il coraggio di arrivare fino in fondo a questo totale delirio. In tal caso, Grazie di essere arrivatə fin qui.
Quando tutto va di corsa e abbiamo tutti lo span di attenzione inesistente, apprezzo chi fa lo sforzo di leggere le mie interminabili castronerie, che in questo particolare momento della mia vita mi prende più impegno del necessario.





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