In un sabato pomeriggio di questo lockdown senza fine, me ne sto a letto a scrollare pigramente Instagram e mi capita di soffermarmi su un post di Gary Barlow. Solitamente non lo faccio, seguo lui, Mark Owen e l'account ufficiale dei Take That più per affetto che per altro, ormai. Oggi, qualcosa mi ha fatto cliccare sulle storie ed è lì che arriva il meteorite dritto in faccia.
Il mio subconscio probabilmente era lì che urlava e io, per qualche strano motivo, lo sono stata ad ascoltare. Perché di tutti i giorni che potevo scegliere di soffermarmi sulle storie di Gary Barlow, giusto oggi.
It was a sad day 25 years ago - when we said farewell. - È stato un giorno triste, 25 anni fa - quando dicemmo addio.
Venticinque. Anni. Fa.
Letteralmente una vita fa.
Quel maledetto giorno, 13 Febbraio 1996 |
Ricordo perfettamente che la sera tardi ebbi dei dolori lancinanti alla pancia e il giorno dopo me sono stata a casa da scuola perché non avevo chiuso occhio. E naturalmente, tornata in classe il giorno seguente ancora, tutti iniziarono a prendermi in giro "Sei stata a casa perché si sono sciolti i Take That, gne gne gne". Sì, certo, come se mia madre mi avesse lasciata a casa da scuola solo per le mie crisi isteriche.
Probabilmente erano solo i miei primi accenni di dolori psicosomatici (grazie ansia, che mi accompagni nei miei giorni fin dalla tenera età). Non so per quale motivo quella cosa me la ricordo così chiaramente.
Venticinque anni.
Dio quanto ho pianto quel giorno. Forse le uniche due volte in cui ho pianto anche peggio (persone care perse a parte) sono state il giorno della premiere di Avengers: Age of Ultron e dopo aver visto Avengers: Endgame.
Ormai i Take That li ascolto poco e niente, giusto quella manciata di hit che ascoltavo e riascoltavo quando avevo dodici anni. Sono finita a vivere dove sognavo di vivere quando avevo dodici anni. Sono anche riuscita a vedere Manchester (ripetevo sempre che prima di morire avrei dovuto vedere Manchester e Seattle, mi manca la seconda). Sono riuscita a vederli in un concerto dal vivo, tutti e cinque e se ci penso ancora non mi sembra vero; sono quasi svenuta e ho pianto per venti minuti di fila quando sono arrivati sul palco, tutto regolare.
Ho visto Jason Orange nel negozio in cui lavoro e Robbie Williams mandare a fanculo un gruppo di dealers, mi manca un selfie con Mark Owen e posso ritenermi soddisfatta.
Tutto ciò per dire che se anche non li seguo più e ne sono ossessionata come venticinque anni fa, ormai fanno parte di me. Sono stata una parte molto importante di me, che certe scelte che ho fatto nella vita sono state influenzate direttamente e indirettamente da loro.
E ogni volta che parte Never Forget, ovunque la senta, non smetterò mai di cantarla, che sia a squarciagola o tra me e me.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quel giorno, ma certe cose faticano a cambiare. Once a fangirl, always a fangirl.
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